Capitolo quarto

Il concetto di sessualità

I. PRIMI CONCETTI FREUDIANI

Quando Freud formulò per la prima volta le sue idee sulla costituzione istintiva della personalità, mantenne l'abituale distinzione tra l'istinto di autoconservazione e l'istinto sessuale a servizio della conservazione della specie. Tale distinzione, tuttavia, condusse presto a difficoltà teoretiche. Non appena Freud riconobbe che la libido sessuale esiste nell'infanzia, prima che l'organismo sia idoneo, biologicamente o psicologicamente, alla procreazione, egli dovette estendere il suo concetto a quella sessualità che va al di là dei fenomeni connessi con la conservazione della specie. Egli, dunque, chiamò sessuali anche tutti quei primi eccitamenti piacevoli che non servono all'autoconservazione; come ad esempio, il succhiamento del pollice, il comportamento coprofi lico, e, naturalmente, la masturbazione infantile. La difficoltà teoretica nell'afferrare la distinzione originale tra istinto di autoconservazione e sessualità, consisteva nel fatto che le prime sensazioni erotiche orali, anali, uretrali e muscolari sono strettamente connesse alla nutrizione, alla defecazione, all'atto dell'afferrare e alla locomozione; fenomeni, questi, tutti connessi, in ultima analisi, all'autoconservazione.

Inoltre, le emozioni che accompagnano la sessualità infantile, sono egocentriche e narcisistiche. Il primo oggetto di amore è l'io; ciò che rende contradditoria la distinzione tra autoconservazione e sessualità. La distinzione tra libido narcisistica e libido obbiettiva portò l'attenzione sul fatto che l'amore può essere diretto verso se stessi o verso altri obbiettivi, ma non risolse il problema. Il cosiddetto piacere sessuale pregenitale fu riscontrato nelle funzioni autoconservative ed essenzialmente vegetative: il narcisismo (anch'esso una forma di libido) era egoistico e autoassertivo, tendente all'autoconservazione. Secondo tale concetto, quasi tutte le funzioni autoconservative vennero incluse nella libido, eccettuata l'aggressione; e anche questa nel sadismo prende un aspetto sessuale. Jung per risolvere un tale dilemma propose di abbandonare il dualismo di Freud e di attribuire tutto alla libido. Teoria simile a quella di Bergson dell'«élan vital», e alle nozioni dei vitalisti tedeschi, come ad esempio Driesch. Freud mantenne però il suo dualismo sino alla fine, nonostante tutte le difficoltà teoretiche, e continuò a distinguere gli istinti autoconservativi da quelli sessuali. Egli considerava gli impulsi ostili aggressivi quali istinti dell'io, ben differenziati dalla sessualità.

Non può negarsi che la teoria psicoanalitica degli istinti mancò per molto tempo di chiarezza. Sino al 1920, quando Freud revisionò le sue idee sugli istinti, la sua teoria non era ancora formulata in modo semplice e limpido. Le espressioni «libido », «impulsi dell'Io», «narcisismo», «aggressività», venivano usate vagamente, ed era impossibile fare distinzioni sottili o definizioni precise. Non si poteva rispondere alla domanda: «In che cosa consistono gli istinti autoconservatori?», se non dicendo che essi erano costituiti da impulsi ostili e distruttivi. Tutte le altre manifestazioni autoconservatrici dell'organismo si chiamavano «libido ». La più grande difficoltà, però, era rappresentata dal fatto che nel sadismo la condotta aggressiva e distruttiva possedeva tutte le caratteristiche della sessualità. Inoltre, quando il senso della distruzione si volgeva contro l'io e diventava suicidio, sembrò — in modo del tutto paradossale — che l'aggressione (autoconservativa per ipotesi) potesse finire col distruggere l'io.

li. LA TEORIA DEGLI ISTINTI DI VITA E DI MORTE

Per superare queste incongruenze pur salvando il concetto dualistico degli istinti, Freud propose la sua teoria degli istinti di vita e di morte, secondo la quale l'impulso erotico è una forza vincolante, la cui manifestazione fondamentale è una fase anabolica del metabolismo. Gli istinti di morte tendenti alla distruzione, per contro, sono una forza disintegratrice che opera biologicamente nel catabolismo chimico. Freud suppose che queste due tendenze siano sempre mescolate nelle loro manifestazioni psicologiche. Tale concetto, sebbene ipotetico, sembrava accordarsi con i fatti osservati, meglio che non la vecchia distinzione tra istinti dell'Io e istinti sessuali, la quale non teneva conto adeguatamente degli impulsi antitetici di amore e di odio, di creazione e di distruzione.

La prima distinzione tra istinti di conservazione dell'individuo e istinti di conservazione della specie, non distingueva due istinti separati, ma due diverse manifestazioni del medesimo istinto; e cioè, l'amore diretto verso obbiettivi differenti. L'istinto erotico nella fase narcisistica è autoconservativo, ma quando si estende ad altri obbiettivi, esso tende alla conservazione della specie. Nondimeno, la distinzione tra tendenze erotiche e tendenze distruttive è basilare.

III. DISCUSSIONE CRITICA DELLA TEORIA DEGLI ISTINTI DI VITA E DI MORTE

La teoria degli istinti di morte, più che un tentativo di descrivere le forze istintive, fu un'astrazione filosofica. Freud aveva fatto distinzione tra due tendenze contrastanti: un impulso costruttivo e unificatore, risultante dallo sviluppo delle cellule in organismi complessi, e una forza opposta disintegratrice che conduce alla morte. Secondo tale teoria, l'organismo nasce con una esistenza potenziale, la quale si esaurisce gradatamente ed è combattuta dall'istinto di morte (tendente alla distruzione). Freud considerò i due istinti come espressioni di una coazione a ripetere che, secondo lui, è una caratteristica fondamentale della vita, e consiste nella disposizione a tornare ad uno stato in effetti già superato. L'istinto di morte tende a tornare all'originale stato inorganico; l'istinto di vita tenta di ristabilire quella più completa organizzazione esistente prima della scissione della cellula. La scissione della cellula o separazione del germeplasma è un passo improvviso verso la morte; è un processo di disintegrazione. La prima parte della vita avviata verso la maturazione, è un lento ristabilirsi dello stato complesso e maturo che esisteva prima della separazione tra il germeplasma e il somoplasma. Il germe plasma durante il processo integrativo di sviluppo ricostruisce il complesso organismo multicellulare. Tale tendenza costruttiva è l'istinto di vita.

Questo concetto è, fondamentalmente, una «teoria dei vettori», e poggia su una concezione metabolica della vita, considerata come un processo di continua costruzione anabolica e di distruzione catabolica dell'organismo biomolecolare.

La descrizione della vita quale risultato di costruzione e di disintegrazione, è chiaramente stabilita nella biologia contemporanea. La nuova teoria di Freud basata sul concetto dei vettori e priva di elaborazioni filosofiche, ci fornisce un orientamento utile. La sua unica difficoltà consiste nel fatto che essa considera il fattore distruttivo come un istinto di morte.

Un'ulteriore osservazione ci mostra che la tendenza disintegratrice non è che l'autoaffermazione separatista, o narcisistica per dirla in termini freudiani, delle due parti costituenti il tutto. In organismi superiori, quali sono i vertebrati, le parti costitutive muoiono non appena vengono separate dal corpo. L'estrema specializzazione delle cellule e la loro interdipendenza rende impossibile per esse una esistenza individuale. La morte è solo l'inevitabile risultato, ma non necessariamente la mèta di tale tendenza distruttiva. Freud considera la sua teoria degli istinti valida in generale, e applicabile anche all'organismo sociale. Tuttavia, nella società è ovvio che l'impulso disintegratore degli individui non è un impulso suicida, ma è una cruda manifestazione del loro desiderio di vivere come individui differenziati.

Per esempio, l'impero austroungarico non si dissolse per un atto suicida, perché gli imperi non sono individui e non hanno tendenze suicide. La rovina fu dovuta al nazionalismo delle minoranze ceche, rumene e serbe, che volevano vivere indipendenti. La disintegrazione dei gruppi sociali può essere meglio compresa partendo da una tendenza particolaristica delle parti, piuttosto che da un istinto di morte universale.

Il ragionamento che portò Freud a supporre un istinto di morte è press'a poco questo: unità biologiche, cellule, o esseri umani in principio sono in lotta tra di loro e conducono una esistenza disordinata. Se però si trovano di fronte un nemico comune, i loro impulsi di distruzione si uniscono contro di lui. Ciò permette il sorgere di una tendenza unificatrice, sempre presente, per effettuare una coalizione delle unità originariamente indipendenti. Sino a questo punto non c'è bisogno di supporre un innato istinto di morte, ma solo tendenze antagonistiche in lotta tra di loro. L'assunzione di un istinto di morte diventa importante solo se applicata alla organizzazione della cellula stessa, la quale è un complesso organico biomolecolare. French, per verità, applicò coerentemente il suo istinto di morte alle biomolecole, quale risultato di un atteggiamento distruttivo tra le biomolecole stesse. Questa forza interna, disgregatrice viene chiamata istinto di morte, giacché mira alla dissociazione della cellula, la più elementare tra tutte le unità biologiche.

Tale concetto presuppone uno stato preesistente nel quale le biomolecole erano indipendenti, in guerra e in conflitto tra di loro, sino a che una qualche pressione esterna indirizzò la loro aggressione contro un nemico comune. Infine, a questo punto Eros le unisce. Da ultimo, però, esse vengono dissociate dalla forza di una tendenza disgregatrice, e cioè l'istinto di morte. Nella morte la materia organica di nuovo diventa inorganica. Coerentemente approfondita, tale teoria diventa metafisica; le attrazioni e le repulsioni molecolari si identificano con l'amore e con l'odio intesi in senso strindberghiano. (Strindberg considerava l'affinità chimica e la repulsione tra le molecole sullo stesso piano dell'amore e dell'odio tra gli uomini.)

La validità di tale concetto è ovviamente al di là di ogni prova, e la sua utilità per la biologia è discutibile.

Sembrerebbe che questa prospettiva dualistica dovesse essere più applicabile alla organizzazione sociale che non allo sviluppo delle cellule, giacché la prima può essere osservata al suo nascere. Come dallo stato inorganico venga a formarsi una cellula, è un processo che si ignora completamente; e si capisce poco come da un organismo monocellulare se ne sviluppi uno multicellulare. La formazione di gruppi sociali, invece, può essere indagata e anche effettuata in via sperimentale. Una massa disorganizzata, quando ha di fronte un nemico comune, si organizza rapidamente, si divide i compiti e collabora spontaneamente. Alcuni vanno a difendere il fianco sinistro, altri il destro, mentre altri ancora penseranno alle vettovaglie per i combattenti. Si sceglierà un capo per organizzare il gruppo. Tale processo può essere considerato dinamicamente come un adattamento dei membri del gruppo a un compito sociale. La psicologia qui racchiusa è stata molto ben descritta da Freud, come una spontanea identificazione degli individui tra di loro sotto la pressione di circostanze che toccano tutti. La scelta di un capo indica la necessità di un'attitudine sottomessa di fronte al pericolo.

Un altro principio psicodinamico, importante nella formazione del gruppo, è il sacrificio dell'interesse personale; il tener conto, infatti, degli interessi di tutti gli altri membri con i quali si collabora, diventa una necessità per la sicurezza di tutti. Se, sotto pressioni esterne, un gruppo organizzato resiste, esso guadagnerà in coesione. La identificazione dei membri tra di loro diventa sempre più importante come forza coesiva; il che appare chiaramente nel nazionalismo. Inoltre, per mezzo della divisione del lavoro, i membri individuali diventano in un certo senso dipendenti l'uno dall'altro. Tuttavia, quando cessa la pressione, di nuovo l'individualità si afferma e può distruggere l'organizzazione, perché da principio solo necessità esterne portarono i membri a rinunciare alla loro libertà personale. Questa distruzione viene facilitata dal fatto che nessun gruppo sociale osserva una stretta eguaglianza; alcuni godono di privilegi a cui gli altri debbono rinunciare per amore della collaborazione. È dunque naturale che quando non esiste più la necessità di una stretta collaborazione, gli interessi personali e disgregatori dei vari individui di nuovo prendano il sopravvento. Questi sono fattori fondamentali del dinamismo sociale, che teatro e storia illustrano abbondantemente.

È evidente, allora, che non occorre nessun istinto di morte per spiegare la disintegrazione sociale. L'organismo sociale può essere inteso come un adattamento degli individui a una situazione esteriore. Per comprenderlo, basta soltanto ammettere la tendenza autoconservatrice dei suoi membri e la loro mutua identificazione. L'individualismo e la riluttanza che ciascun membro della comunità prova nel sacrificare la propria sovranità, sono forze dinamiche non diverse dall'istinto di conservazione, e anzi derivano da esso. Non esiste gruppo sociale in cui l'individuo abbandoni completamente la propria individualità. La disintegrazione dei gruppi sociali è dovuta a questo individualismo, non a istinti di autodistruzione.

La coesione di un gruppo da principio probabilmente è basata soltanto sull'autoconservazione; a poco a poco essa viene aumentata dalla identificazione tra i membri del gruppo, dal loro istintivo attaccamento reciproco, e dalla loro sottomissione al capo. Crescendo l'interdipendenza, viene a socializzarsi l'istinto di conservazione individuale. Lo spirito di clan, lo spirito di tribù e il nazionalismo esprimono questa coesione, la quale avviene attraverso l'identificazione.

L'applicazione dei princìpi elementari del dinamismo sociale alla formazione di organismi multicellulari, può dimostrarsi una ipotesi feconda. Essa annullerebbe la credenza largamente diffusa che i sistemi complessi possono venir compresi solo tenendo conto dei princìpi che spiegano i sistemi più semplici; e che lo studio dei fenomeni sociali trarrebbe un vero vantaggio dall'applicazione dei princìpi biologici, e non il contrario. La discussione di questo punto porterebbe, tuttavia, a considerazioni teoriche che esulano dallo scopo della nostra dissertazione. Possediamo esempi sufficienti per ritenere accettabili ambedue i metodi. Herbert Spencer nel suo Studio della sociologia spiegò i fatti biologici per mezzo dei fatti sociologici. I princìpi astronomici riguardanti i corpi planetari più complessi, ma visibili, ci servono a comprendere le strutture atomiche invisibili. I princìpi di chimica hanno illuminato anche dei problemi di fisica. L'organizzazione sociale avviene sotto i nostri occhi ed è, per molti riguardi, meglio conosciuta che non il dinamismo biologico delle cellule. Non dovremmo meravigliarci se la comprensione del dinamismo dei gruppi sociali riuscisse a illuminare l'organizzazione degli organismi multicellular!.

Qualche altra osservazione illustrerà più chiaramente quanto sia svantaggioso identificare il fattore distruttivo nella teoria freudiana degli istinti, con un istinto di morte piuttosto che con una tendenza individualistica di ciascuna unità biologica. Queste osservazioni esigono un'anticipazione sulla teoria delle neurosi: teoria che verrà esposta dettagliatamente in un prossimo capitolo. La teoria dell'istinto di morte fu applicata soprattutto alle psiconeurosi e alle neurosi. Si suppose che, giacché esistono solo due impulsi fondamentali, una delle componenti di ogni sintomo neuro tico deve essere l'istinto di morte. Tale concetto fu sviluppato in modo più concreto da Karl Menninger, nella cui teoria ogni neurosi e psicosi va considerata in ultima analisi come un suicidio parziale.

Lo studio delle neurosi, tuttavia, non conferma affatto questa conclusione. Quel che si è trovato è una disintegrazione dei complessi adattamenti emotivi, e una regressione a forme più semplici e primitive di soddisfacimento.

Quando un individuo non può appagare i propri bisogni emotivi come deve fare un adulto, egli torna a un atteggiamento più infantile e dipendente; ma è difficile chiamare tale fenomeno un suicidio parziale. È una protesta contro l'indipendenza degli adulti, e un'ostinata esigenza di essere amato e curato, magari con sacrificio di altre persone. Questa regressione crea nuovi problemi emotivi. La tensione tra un comportamento regressivo e criteri da adulti non ancora interamente abbandonati, può svilupparsi e manifestarsi in un sentimento di vergogna e di inferiorità, per mitigare il quale possono svilupparsi altre tendenze neurotiche, quali, ad esempio, critica e disprezzo degli altri. Una eccessiva stima di se stessi (megalomania) è anch'essa una forma morbosa di difesa.

La regressione a un atteggiamento estremamente egocentrico può far nascere sentimenti non soltanto d'inferiorità, ma anche di colpa e di ansietà, a cui l'individuo cerca di sfuggire con l'autopunizione. L'analisi di simili manifestazioni masochiste dimostra che esse sono subordinate al desiderio infantile di essere amato, e mirano a eliminare il senso di colpa che altrimenti blocca il desiderio di essere apprezzato a spese altrui. Il nucleo dinamico delle neurosi è la regressione a una forma primitiva di adattamento. Tale regressione crea un conflitto, perché a essa non partecipa tutta la personalità. La discrepanza tra la regressione ed esigenze più mature, si manifesta in sentimenti o d'inferiorità, o di colpa.

I sintomi complessi di una neurosi rappresentano un tentativo fallito di eliminare i conflitti secondari causati da soddisfacimenti regressivi — per esempio, dal desiderio di essere amato da una persona onnipotente e di assicurarsi la tranquillità sottomettendosi a lei. Questo, nelle neurosi, è un fattore comune, ma non distruttivo; al contrario, è un esempio sorprendente dell'istinto di vita in senso freudiano. È un intenso desiderio di vivere, sebbene su un piano più primitivo, e appare subito quando l'adattamento maturo viene a mancare perché i poteri integrativi dell'io risultano inadeguati. L'analisi psicodinamica delle regressioni neurotiche dimostra chiaramente che una differenziazione tra istinti di morte e di vita serve ben poco per la comprensione dei fenomeni psicopatologici. Le neurosi non sorgono per un perturbamento di equilibrio tra due opposti e fondamentali istinti di vita e di morte, ma da un conflitto tra l'adattamento del complesso emotivo della maturità, e modelli infantili più primitivi. Tali complessi schemi di adattamento si capiranno meglio, ove si considerino come organizzazioni gerarchiche in cui funzioni parziali e impulsi tendono verso un'unica meta (French). Possiamo dimostrarlo in modo più chiaro, con esempi concreti. Un giovane studia per arrivare a guadagnarsi la vita con una professione.

Il suo desiderio scientifico di conoscenza è subordinato al desiderio utilitario di far carriera. Nel corso dei suoi studi, può svilupparsi in lui un attaccamento profondo a uno degli insegnanti, e così egli può soddisfare il proprio desiderio di essere guidato dal suo maestro e di dipendere da lui. Ciò, tuttavia, come anche la sua curiosità scientifica, rimane subordinato al desiderio di far carriera. L'appagamento della tendenza alla sottomissione serve lo scopo principale (quello di far carriera) poiché egli si vale dell'aiuto dell'insegnante per fare strada. Mentre si prepara alla professione, gli può anche accadere di rimanere talmente affascinato da un aspetto particolare dei suoi studi, da sacrificare lo scopo professionale alla curiosità scientifica. E questa può diventare così forte da interferire con la carriera portandolo a trascurare ogni considerazione pratica, e quindi a un fallimento del suo piano economico. Per soddisfare la propria curiosità scientifica, egli ignora l'obbligo, che in qualità di persona adulta gli compete, di provvedere al proprio sostentamento. In tal modo fallisce nella sua carriera e può non essere capace di realizzare le proprie ambizioni scientifiche. In un caso simile, l'entusiasmo creativo prende proporzioni più grandi del giusto, e non si integra quindi con la necessità di sopravvivere.

Un sano compromesso nella soluzione del medesimo problema viene esemplificata dallo scienziato che subordina gli altri interessi alla propria curiosità scientifica, ma provvede tuttavia al proprio sostentamento. Egli può insegnare per guadagnarsi la vita, sebbene il suo scopo principale rimanga quello di appagare la sua curiosità scientifica dandosi a ricerche varie.

L'uomo pratico, che pensa alla carriera, segue un'altra linea di condotta. Egli capitalizza i propri interessi per guadagnarsi da vivere e per crearsi una posizione nel mondo. Il soddisfacimento della curiosità scientifica è lo scopo dominante dello scienziato, e gli altri bisogni vengono subordinati a questo.

Lo studente che mira a far carriera, ma ha un affetto e un'ammirazione eccessivamente subordinati verso il suo professore, può essere allontanato dalla meta da questo stesso attaccamento. La sua lealtà filiale può condurlo a sacrificare i propri interessi a quel sentimento e a venir meno al suo fine iniziale. Qui, di nuovo, una tendenza di solito subordinata può divenire dominante. È naturale che gli studenti ammirino i loro professori, ma quando tale ammirazione prende il sopravvento, cessa di essere una caratteristica dell'individuo maturo e maschera il desiderio neurotico della dipendenza ad ogni costo. Tutte le neurosi possono essere considerate come disintegrazioni nelle quali una tendenza singola (che pure fu un elemento utile a un determinato schema di adattamento) si emancipa e cerca un soddisfacimento isolato in maniera poco pratica e dannosa, incompatibile con la posizione sociale e l'età del paziente.

Il suicidio è un esempio-limite di una tendenza isolata divenuta selvaggia. Gli impulsi aggressivi che sono subordinati ad altri scopi, come ad esempio la difesa personale, possono disintegrarsi, e cercare un appagamento autodistruttivo, ove non possano sfogarsi in altro modo.

Ciò può bastare per mettere in luce che le neurosi non possono essere spiegate come conflitto tra i due istinti basilari di vita e di morte. Il conflitto neurotico più comune nasce dal rifiuto di accettare la maturità con tutti i suoi pesi e responsabilità, e dal desiderio di tornare ai primi modelli di vita, più dipendenti. La complessa struttura delle neurosi può essere considerata piuttosto come un tentativo di risolvere i conflitti interni che risultano inevitabilmente da regressioni parziali. La personalità non partecipa alla regressione nella sua interezza, ma rimane parzialmente su un piano adulto; ciò spiega il conflitto causato dalle regressioni parziali.

Noi concludiamo che l'elemento prezioso nella teoria di Freud degli istinti di vita e di morte è il riconoscimento di due vettori dinamici della vita; l'uno costruttivo e integrativo, l'altro disintegrativo. Questi due vettori opposti, tuttavia, non sono manifestazioni di due istinti contrari. Le unità biologiche di una specie similare si organizzano sotto la pressione di un pericolo esterno, e sopravvivono unendo le loro riserve e dividendosi le responsabilità. Le unità originariamente indipendenti, però, seguono il principio d'inerzia e non rinunciano mai completamente alla loro identità individuale. Ovunque diminuisca la necessità della cooperazione, la tendenza individualistica delle unità si ravviva, e il gruppo si disintegra. Quando la interdipendenza delle unità, mediante la differenziazione e la divisione del lavoro, diventa grande come è negli organismi multicellulare le unità individuali non sono più capaci di avere un'esistenza indipendente, e la disintegrazione porta necessariamente alla morte delle cellule. Questo avviene negli animali superiori, le cui cellule non possono sopravvivere alla disintegrazione dell'organismo. Nei gruppi sociali, la disintegrazione non conduce necessariamente alla morte dei suoi membri.

La morte perciò, non è il fine ultimo dei processi di disintegrazione, ma ne è incidentalmente una conseguenza inevitabile. Essa ha luogo soltanto nei sistemi biologici nei quali l'esistenza indipendente delle unità diventa impossibile perché le varie funzioni sono radicalmente divise e specializzate. È importante ricordare che l'integrazione e la disintegrazione dei gruppi esprime la stessa forza dinamica; e cioè la tendenza dei membri all'auto conservazione. Per sopravvivere, le unità costituiscono up gruppo organizzato, ma solo sotto la pressione esterna.

Per ritrovare la propria esistenza individuale, esse possono liberarsi dal gruppo, allorché venga a mancare la necessità di una vita di gruppo. Non tutti i gruppi hanno eguale successo, poiché le diverse organizzazioni posseggono una maggiore o minore coesione e stabilità.

Lo sviluppo della personalità consiste anche in un processo integrativo progressivo. Il bambino nasce con certe facoltà, e altre ne sviluppa con l'esperienza. La percezione dei sensi e la mobilità dei muscoli debbono essere coordinate in modelli di comportamento utili. La dipendenza del bambino dalla madre, più persistente nella specie umana che tra gli animali, ritarda la coordinazione. Facoltà e impulsi sussistono più a lungo nei disordini elementari, e cercano un soddisfacimento erotico senza riguardo ai bisogni dell'organismo nella sua interezza. Ciò è possibile perché, per un periodo notevole, al bambino non si chiede di adoperare le proprie facoltà per soddisfare i suoi bisogni vitali. Lo sviluppo della personalità può essere ben concepito come la formazione di schemi dinamici, nei quali funzioni diverse vengono coordinate e forniscono al bambino l'indipendenza sempre crescente dell'adulto. Il fattore principale in tale processo — l'adattamento progressivo •dei bisogni individuali alle condizioni esterne — è implicito nel concetto freudiano del trapasso dal principio del piacere al principio della realtà; trapasso di cui parleremo in seguito. Nello sviluppo della personalità, le fasi iniziali sono caratterizzate da una mancanza di integrazione. Durante questo periodo, le facoltà individuali si rafforzano nel giuoco, per poter più tardi divenire elementi utili nel funzionamento completo della personalità totale.

Come avviene nell'organizzazione sociale, anche le tendenze individuali che più tardi diventano parti integranti dei modelli di comportamento, mantengono sempre un po' della loro indipendenza originaria. Ovunque la vita presenti ostacoli insuperabili all'appagamento dei bisogni, vi può essere un ritorno agli iniziali e meno complessi modelli di comportamento, confacenti alla fase più dipendente dell'infanzia. Questo fatto può essere considerato un fallimento delle funzioni integrative. Poiché questi modelli regressivi sono immaturi, appaiono morbosi e in conflitto con quelle parti della personalità non ancora disintegrate. Le forze individuali emancipate dagli schemi utili cercano mete individuali, non più subordinate a quelle dell'intero organismo.

Un esempio semplice di quanto sopra, è rappresentato da un paziente, uomo di trentacinque anni, sposato e padre di due bambini, il quale aveva condotto un'esistenza tranquilla, sino a che era vissuto alle dipendenze di un amico paterno della famiglia, che gli dava un grande appoggio morale. Quando, dietro insistenze della sua ambiziosa consorte, fu promosso a una posizione di maggiore responsabilità, nella quale non poteva appoggiarsi a nessuno, egli crollò. Quell'uomo non era arrivato a una maturità emotiva tale da permettergli di assumersi una responsabilità indipendente. La promozione lo mise in una situazione a cui, dal punto di vista emotivo, era impreparato. Il primo risultato, quindi, fu che cominciò ad appoggiarsi più fortemente alla moglie. Poiché ella mancava di istinti materni e protestava contro le crescenti pretese del marito, tra di loro nacque un attrito. Dopo un periodo di lotta, la donna ottenne il divorzio, e il marito reagì a quest'avvenimento mettendosi a bere. Ecco un caso tipico nella storia dell'alcolismo. Dal punto di vista psicodinamico, l'alcool offriva a quel tale un appagamento regressivo dei suoi istinti di dipendenza, che in passato erano stati soddisfatti (in modo compatibile con una situazione sociale e familiare) dalla fiducia che aveva nei suoi superiori. Il rapporto di dipendenza col suo capo manteneva in lui l'equilibrio emotivo, e gli era perciò utile nello svolgimento del suo lavoro. Quest'assestamento si ruppe non appena egli fu chiamato ad assumere una responsabilità superiore alle proprie possibilità. Allora, la dipendenza, che aveva avuto sinora una funzione utile, si isolò e cercò un soddisfacimento più primitivo nell'alcool. Il bere divenne scopo autonomo, non connesso ad altri bisogni, e minacciò in tal modo il benessere del paziente. L'integrazione di funzioni separate nell'organismo totale, ha un carattere di adattamento e contribuisce alla continuazione della vita. In ultima analisi, può essere spiegato col principio di stabilità. Non si tratta, tuttavia, di sessualità. Gli elementi costitutivi dell'integrazione consistono originariamente nel giuoco erotico; manifestazione di un surplus di energia che viene gradatamente disciplinato perché possa concorrere alla sopravvivenza dell'organismo.

Quello che Freud chiamava istinto di morte, è la disintegrazione di un comportamento maturo nelle sue parti elementari. Ciò ha luogo ogni volta che le funzioni integrative si dimostrano inadeguate in situazioni che oltrepassano la capacità di adattamento dell'organismo. La regressione comprende il principio di inerzia, che incoraggia le ripetizioni automatiche dei vecchi modelli, anche quando occorre un nuovo sforzo. Quello che Freud chiamava istinto di morte è in realtà una tendenza non verso la morte, ma verso vecchi e logori schemi di vita.

IV. UNA TEORIA PSICOSOMATICA DELLA SESSUALITÀ

Adesso potremo tentare di rivedere le considerazioni che portarono Freud a estendere il concetto di sessualità al di là della procreazione, e a completarlo con i princìpi dinamici fondamentali di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente. Le diverse forme di piacere erotico sperimentate dai bambini somigliano a quelle dei pervertimenti negli adulti. Esse hanno senza dubbio un carattere sessuale, sebbene non contribuiscano alla conservazione della specie. Molte funzioni e molte parti del corpo possono essere fonte di piacere erotico. Le labbra e la bocca, la mucosa anale, la pelle, tutte possono dare sensazioni erotiche, quando siano stimolate; e possono produrre l'eccitamento dei genitali. Un bambino succhiandosi il pollice può sperimentare l'erezione. Egualmente significativo è il fatto che tutte le emozioni intense possono rappresentare il contenuto psicologico dell'eccitamento sessuale: il desiderio intenso di amore e di cure, l'amore per gli altri e il desiderio di contatti fisici, l'impulso sadico a danneggiare e a distruggere, la tendenza masochista a soffrire dolore e umiliazione, la curiosità scoptofilica, e l'esibizione del proprio corpo al fine di accentrare su di sé l'attenzione altrui. Queste ampie variazioni indicano che l'impulso sessuale non ha un contenuto specifico, ma che ogni emozione può sessualizzarsi. Sulla base di tali osservazioni, Freud concluse dapprima che la sessualità non dipende da una particolare qualità emotiva, ma deve avere una base quantitativa. Purtroppo egli non elaborò affatto questa irrefutabile affermazione. Nella sua ultima teoria sugli istinti — istinti di vita e di morte — egli presupponeva nel sesso una qualità costruttiva e unificatrice. Tuttavia era costretto a spiegare il sadismo, che ovviamente non è né costruttivo né unificatore, come una mescolanza dei due istinti di vita e di morte. Nel suo concetto, tutte le effettive tendenze psicologiche si trovano mescolate.

Ferenczi confermò nelle sue ingegnose speculazioni biopsicologiche che l'organismo esprime sessualmente tutte le tensioni che non può e non ha necessità di coordinare a fini utili. Il che essenzialmente è l'equivalente della teoria che io elaborai in seguito — e cioè, che la sessualità scarica ogni surplus di eccitamento, qualunque ne sia la qualità.

La esattezza di questa teoria può essere meglio dimostrata nella forma più elementare della propagazione; la scissione, cioè, della cellula nell'organismo monocellulare. Quando l'organismo raggiunge i limiti del suo sviluppo, esso non può crescere ulteriormente e deve suddividersi. Il surplus di materia organica che non può essere integrato in una singola unità biologica, viene eliminato e diventa un organismo nuovo. Questo è un fattore basilare nel fenomeno della conservazione della specie: tutte le altre forme, come per esempio la divisione asimmetrica in organismi multicellulari, sono derivazioni e modificazioni di quel fattore. La propagazione risulta dal surplus di energia causata dall'accrescimento. Il suo equivalente psicologico è l'amore.

Le perversioni degli adulti, basate sull'erotismo infantile, scaricano il surplus di eccitazione che non può trovare sfogo attraverso altre vie. Lo studio delle perversioni conferma il concetto che i fenomeni erotici sono manifestazioni del surplus di eccitazione, che non può venire integrato nella personalità. I sadici sessuali sono incapaci di esprimere con mezzi ordinari i loro sentimenti aggressivi e il desiderio di dominare gli altri. Per lo più essi sono persone timidissime e inibite. Gli impulsi ostili e aggressivi hanno origine nelle prime esperienze, ma sono inibiti nella loro mani festazione normale e possono trovare sollievo solo in una sorta di scarica, paragonabile a un corto circuito, dell'attività sessuale. I masochisti nascondono una forte quantità di senso di colpa ad* cumulato, e un conseguente bisogno di punizione dolorosa. Inoltre sovente essi dispiegano nei rapporti umani un egotismo esagerato che contrasta fortemente col loro comportamento sessuale. La sofferenza sessuale compensa l'atteggiamento egocentrico che queste persone assumono nel rapporto sessuale.

È istruttivo constatare che quando lo sfogo sessuale masochista è bloccato, il bisogno di sofferenze non sessuali aumenta e dà luogo a una specie di masochismo morale. Le forme di masochismo sessuale e morale sono in rapporto tra di loro come liquidi in vasi comunicanti: quando il livello cresce nell'uno, diminuisce nell'altro. Qualche cosa di molto simile può osservarsi nei casi di esibizionismo sessuale: coloro che ne sono affetti soffrono notoriamente di inibizioni nell'affermarsi e nell'esprimersi con libertà per mezzo della parola e del gesto. Essi sono modesti e timidi oltre il normale, e l'esibizione forzata dei genitali è una scarica improvvisa di desiderio represso, per far colpo sugli altri. I voyeurs (coloro che giungono al soddisfacimento sessuale nel vedere oggetti, cose o atti di natura sessuale) sono anch'essi estremamente inibiti in tutte le forme nonsessuali di curiosità e di indagine. Il bisogno di osservare non serve del tutto per scopi utilitari dell'organismo, ma conserva qui il carattere erotico originale. Le perversioni sessuali degli adulti sono fissazioni e regressioni agli interessi erotici pre gepitali dell'infanzia e della fanciullezza. Ne parleremo più dettagliatamente in un prossimo capitolo: le abbiamo menzionate qui soltanto come illustrazioni del principio del surplus, base di tutti i fenomeni erotici. Si è già detto che la sessualità infantile può essere anche spiegata col principio del surplus.

Per riassumere brevemente quel che abbiamo già dichiarato circa la sessualità pre-genitale, tutte le funzioni volontarie del corpo da principio vengono praticate come un giuoco erotico, durante alcune fasi del primo sviluppo. Nei diversi periodi della crescita, prevale ora l'una ora l'altra delle funzioni. All'inizio, nutrizione e defecazione sono in primo piano. Il movimento di succhiare, fatto per il piacere che il bimbo ne ricava, indica un surplus di eccitamento che supera quello dato dalla fame. Le attività coprofiliche anch'esse non hanno un fine fisiologico utile, ma testimoniano un surplus di eccitamento nel campo delle funzioni escretorie. E queste, di nuovo, sono eccitazioni eccessive, di natura ritentiva ed eliminatrice. Tutte le attività muscolari volontarie nella prima infanzia vengono praticate per giuoco, e non a scopi pratici. Più tardi l'intelletto prende a funzionare eroticamente — specie per quel che riguarda la curiosità — e presenta di nuovo un surplus di energia, non ancora richiesto per la sopravvivenza dell'organismo. Nelle prime forme di curiosità, il vedere e il conoscere sono fine a se stessi. In seguito, essi forniscono motivo di interesse scientifico nella ricerca pura. Nella pubertà, l'emulazione è l'elemento centrale, e rappresenta di per sé una meta da raggiungere. Cimentarsi diventa uno scopo altamente erotico, ma non ancora utile alla lotta per l'esistenza.

La regione genitou-rinaria, nel corso dello sviluppo, assume, gradatamente, la funzione di canalizzare un surplus di eccitamento. La filogenetica ci dice che nello stato cloacale esisteva un solo organo per l'eliminazione sia dei prodotti di rifiuto che delle cellule germinali: esso si divise in una zona urinaria e in una genitale, ma la funzione resta quella che era e cioè, tutti gli eccitamenti non utilizzati per l'autoconservazione, vengono eliminati attraverso tale organo. Nelle prime fasi della vita, l'eccitazione sessuale ha carattere pregenitale e spesso extragenitale, e può trovare sollievo localmente, nella bocca, nell'ano ecc. A poco a poco, e sempre di più, le eccitazioni erotiche si eliminano attraverso l'apparato gtnitourinario. Ogni appagamento ha intrinsecamente un carattere erotico, che consiste nella soddisfazione di un impulso per il proprio piacere, e non per servire i bisogni dell'intero organismo.

Impulsi liberi e fluttuanti di assimilazione, ritenzione o eliminazione, assumono un carattere erotico quando il loro soddisfacimento serve soltanto ad alleviare l'eccessiva tensione. Ogni surplus di eccitazione che l'organismo non può usare per la propria conservazione, ha natura erotica e viene in gran parte eliminato attraverso la regione genitourinaria.

L'impulso ad assimilare che si presenta sotto forma di fame, non è considerato un fenomeno erotico. Tuttavia, la manifestazione del suo surplus, sotto forma di succhiamento del pollice, si chiama erotismo orale; la curiosità, necessaria per orientarsi nell'ambiente, non è erotica, ma lo diventa quando il guardare e il conoscere vengono a costituire scopi isolati, fine a se stessi. Il voyerismo è una curiosità che non serve a utili propositi, ma solo al piacere. La rabbia e la distruttività, che non servono né alla difesa personale né a provvedere ai bisogni dell'esistenza, diventano sadistiche ed erotiche. Nel sadismo, la distruzione è fine a se stessa. Ogni volta che si accumula una tensione oltre i limiti dell'utilità, essa trova sollievo in manifestazioni erotiche. Durante lo sviluppo, impulsi erotici in origine, diventano sempre più utili alla conservazione dell'esistenza, e perdono così il loro carattere erotico. La crudeltà dei bambini piccoli, che originariamente ha un carattere erotico, diventa, nella vita, un'utile aggressività.

Come Freud, e più tardi Ferenczi, hanno dimostrato, la genitalità matura riunisce elementi iniziali erotici che si rivelano in attività preparatorie dell'atto genitale, per esempio, nel guardare, nel toccare, nella volontà di dominio, nel voler sedurre gli altri mediante l'esposizione del proprio corpo. Sebbene queste parziali esperienze erotiche siano subordinate all'ideale più alto della riproduzione, esse però conservano ancora una certa indipendenza. Se per ragioni traumatiche avviene la disintegrazione, esse possono (come avviene nelle perversioni) diventare di nuovo atti sessuali fine a se stessi. La sessualità genitale, tuttavia, non può venire ridotta interamente a una somma o a una mescolanza di stimoli pregenitali. Nella genitalità appare una nuova componente: la tendenza a dare. Il bambino libera energia in una scarica motrice incoordinata; nella produzione di calore e nella defecazione. Nella fase genitale, questa scarica è accompagnata dal desiderio di dare e, psicologicamente, sbocca nella riproduzione. Nel periodo involutivo, la manifestazione del surplus di energia diminuisce, sviluppo e propagazione cessano, e la psicologia dell'involuzione somiglia, sotto molti aspetti, alle fasi iniziali della vita.

Il fatto che la maggior parte delle tensioni sessuali, pregenitali e genitali, vengono eliminate dall'orgasmo attraverso l'apparato genitourinario, conferma la teoria del surplus della sessualità. Il sistema genitourinario è anatomicamente e fisiologicamente l'organo specifico attraverso il quale si scaricano sia i prodotti di rifiuto, sia le cellule germinali. È un sistema attraverso il quale viene trasformato il materiale eccedente e l'eccitazione non usati nelle attività coordinate e autoconservatrici dell'organismo. Prima della maturità, esso dà modo di sfogare l'eccesso degli impulsi assimilativi, eliminativi e ritentivi, non utilizzati per lo sviluppo dell'organismo. Quando viene raggiunto il limite della crescita individuale, esso scarica le energie creative, fisiologicamente in cellule germinali, ed emotivamente in un amore maturo.